“Correggere” la Talassemia?

 
“Correggere” la mutazione/le mutazioni genetiche per attivare la produzione di una normale emoglobina, attraverso cellule staminali ematopoietiche autologhe “riprogrammate”, potrebbe essere la strada giusta per combattere la β-talassemia. È quanto emerge dallo studio pubblicato su Genome Research dai ricercatori dell’University of California, San Francisco, USA. 
 
La β-talassemia è una patologia ereditaria (gruppo delle emopatie ereditarie recessive) caratterizzata dalla ridotta o assente sintesi di una delle catene polipeptidiche (beta) presenti nella molecola dell’emoglobina. Tali alterazioni comportano l’instaurarsi di un quadro di  anemia, cioè una diminuzione della presenza di emoglobina utile al trasporto dell’ossigeno nel sangue. Il nome talassemia deriva dal greco (θάλασσα = thálassa = mare), poiché la variante conosciuta per prima fu quella mediterranea. La β-talassemia è una delle malattie genetiche più comuni in tutto il mondo ed è causata da mutazioni a carico del gene beta globinico. In Italia le stime indicano la presenza di circa 6.000 pazienti affetti da talassemia major (la forma più grave) ed una frequenza di portatori sani del 3% circa.
 
Le forme più gravi di talassemia spesso richiedono frequenti trasfusioni e spesso i soggetti talassemici necessitano di trasfusioni di sangue con regolarità e per tutta la vita. Con il passare del tempo questa terapia causa un eccesso di ferro nel sangue, che può danneggiare il cuore, il fegato ed altri organi. Per aiutare l’organismo a liberarsi del ferro in eccesso  è necessario assumere medicinali noti come chelanti del ferro. In rari casi si ricorre alla splenectomia, ovvero all’asportazione della milza.
 
L’unica terapia in grado di portare ad una guarigione definitiva il paziente β-talassemico è il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche. Nell’ultimo decennio, però, nuovi approcci terapeutici sono stati studiati e testati e diverse sono state le tecniche e le fonti di cellule staminali impiegate.
 
Tra le prospettive terapeutiche va annoverata la terapia genica che ha lo scopo di inserire all’interno di alcune cellule del paziente un gene normale in sostituzione di uno alterato. La possibilità di creare, isolandole da tessuto epidermico (fibroblasti) o dal sangue venoso periferico di pazienti affetti da β-talassemia, cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs) prive del difetto genetico potrebbe offrire un nuovo approccio alla cura di questa malattia. La correzione nelle cellule staminali delle mutazioni che causano la malattia potrebbe, infatti,  ripristinare la normale funzionalità cellulare e le iPSCs “corrette” potrebbero essere infuse al paziente stesso per la produzione di una normale emoglobina.
 
Fei Xie e coll. hanno utilizzato la tecnica di gene-editing CRISPR/Cas9 in combinazione con il piggyBac Trasposone per correggere in modo efficace le mutazioni nelle iPSCs derivate da pazienti talassemici, senza lasciare alcuna impronta residua. In estrema sintesi, il sistema CRISPR/Cas9 utilizza un RNA “guida” per trasportare il DNA tagliato dalla proteina Cas a una specifica sequenza del DNA che contiene la mutazione responsabile della malattia. Una volta che la proteina Cas taglia il DNA in quell’area prefissata, il sistema sostituisce la sequenza di DNA difettosa con una versione sana. Nessuna alterazione è stata rilevata nelle iPSCs “corrette”, che hanno mantenuto piena pluripotenza e normale cariotipo (insieme delle caratteristiche di forma, dimensione, numero e proprietà dei cromosomi di una data cellula). La metodica si è dimostrata efficace nell’eliminare i difetti genetici e questo si potrebbe tradurre nell’assenza di conseguenze cliniche oppure ad una forma di malattia meno grave.
 
Estendendo il panorama, la strategia di “gene-editing” potrebbe, dunque, rappresentare in futuro un importante passo verso la terapia delle malattie monogeniche (malattie genetiche dovute alla mutazione di un singolo gene), basandosi sulla modificazione genetica delle iPSCs paziente-specifiche.
 
Le tecnica del “gene-editing”  non sembrerebbe avere gravi effetti collaterali, ma si dovrà attendere per capire se effettivamente le cellule sane, modificate in vitro, saranno in grado di duplicarsi e di produrre emoglobina. Dovrà passare del tempo e occorrerà una maggior mole di dati, inoltre,  prima che si possa parlare di reale utilizzo terapeutico; d’altro canto,  studi come questo rappresentano un importante passo avanti nel campo della terapia genica ed aprono nuove ed interessanti prospettive di cura, sempre se ricondotte nell’ambito della metodologia e tempistica della ricerca scientifica, molto distante dalle attese di “pronto uso” talvolta annunciate dai media generalisti.
 
a cura del dott. Giuseppe Marano, Medico Chirurgo, Specialista in Ematologia 
 
Riferimenti: