22/07/2020 – Negli ospedali italiani si sta affermando la cultura del ‘Patient Blood Management’ o Pbm, un approccio multiprofessionale, multidisciplinare, multimodale, ospedaliero e centrato sul paziente per la gestione dell’anemia, l’ottimizzazione dell’emostasi, il risparmio di sangue nel peri-operatorio, l’emostasi chirurgica, e l’impiego degli emocomponenti e dei farmaci plasmaderivati. Una strategia che parte dall’identificazione del paziente anemico prima che affronti un intervento chirurgico maggiore, riducendo il rischio di aggravamento dell’anemia ed il ricorso alla trasfusione. Lo dimostrano i risultati della prima survey sull’implementazione appena pubblicata dal Centro Nazionale Sangue.
“La corretta gestione del paziente alla vigilia di un intervento chirurgico è un momento cruciale – spiega Giancarlo Liumbruno, Direttore generale del Centro Nazionale Sangue. Sappiamo che il mancato trattamento dell’anemia pre-operatoria equivale all’erogazione di prestazioni sanitarie sub-ottimali, con un aumento del rischio di complicanze anche gravi. Diversi studi hanno quantificato i vantaggi per il paziente, con ad esempio le complicazioni che calano fino al 41% e le riammissioni ridotte fino al 43%, ma anche per i servizi sanitari. Il monitoraggio dello stato di attuazione dell’applicazione delle linee guida e del livello di realizzazione di questo percorso diagnostico-terapeutico assistenziale rappresentato dalla survey, per la quale ringraziamo tutte le Strutture Regionali di Coordinamento per le attività trasfusionali, le Aziende sanitarie che hanno aderito e le Società Scientifiche di settore che hanno contribuito alla elaborazione, è un efficace strumento per la valutazione del suo sviluppo in un’ottica di miglioramento dell’efficacia, della performance e della sostenibilità del sistema trasfusionale nazionale”.
Che cos’è il PBM
Il PBM consiste in una serie di tecniche farmacologiche e non farmacologiche da adottare prima, durante e dopo l’intervento secondo i cosiddetti tre ‘pilastri’: ottimizzare la capacità di produrre globuli rossi, ad esempio trattando l’anemia prima dell’operazione; ridurre al minimo il sanguinamento, un risultato ottenibile con tecniche chirurgiche particolari o utilizzando terapie specifiche; ottimizzare la tolleranza verso l’anemia, agendo anche con farmaci sulla capacità dell’organismo di tollerarla. Se ben applicato, il PBM oltre a evitare le complicanze, può ridurre i tempi di degenza e ridurre sensibilmente i costi legati alle terapie trasfusionali. Secondo alcuni studi, affrontare da anemici un intervento di chirurgia maggiore può aumentare il rischio di mortalità dal 3% al 10%.
La survey
La survey, su 153 presidi ospedalieri, è stata elaborata da un gruppo di lavoro nazionale istituito dal CNS e composto da rappresentanti di due Strutture regionali di coordinamento (SRC) per le attività trasfusionali (Umbria ed Emilia-Romagna) e delle seguenti Società Scientifiche: Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia (SIMTI); Società Italiana di Emaferesi e Manipolazione Cellulare (SIdEM); Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI); Associazione Nazionale Medici Direzione Ospedaliera (ANMDO); Associazione scientifica degli Anestesisti ed Ematologi (ANEMO). Nei due terzi dei presidi ospedalieri (PO) si svolge attività di formazione specifica sul PBM e si organizza, in circa la metà, un evento formativo con una cadenza annuale; in meno del 20% dei PO si realizzano più eventi formativi nel corso dell’anno. In un’elevata percentuale dei PO è stato dichiarato il rilascio al paziente di una esaustiva informazione sulla propria condizione clinica e sulle strategie alternative alla trasfusione omologa in caso di anemizzazione. Per gli aspetti più tecnici relativi alla diagnosi e al trattamento dell’anemia nel perioperatorio, dalla survey emerge una buona implementazione dei programmi di screening dell’anemia secondo le tempistiche definite dalle linee guida nazionali ed internazionali, così come un approccio terapeutico mirato alla correzione della causa dell’anemia. In tutte le tipologie di PO (nell’85% circa dei rispondenti per ogni tipologia) si fa ricorso alla trasfusione di una unità per volta, come raccomandato dalle linee guida nazionali del CNS. L’ottimizzazione della funzione cardiovascolare e polmonare, al fine di migliorare la tolleranza all’anemia, è oggetto di una maggior attenzione nei PO di II livello. Anche la gestione dell’emostasi, attraverso l’utilizzo di strumenti per i test viscoelastici e per la funzionalità piastrinica, è maggiormente attuata nei PO di II livello con attività chirurgica più complessa. Le attività di monitoraggio degli outcome del paziente sono meno diffuse e i dati sulla mortalità ospedaliera e sulla morbilità risultano ancora poco rilevati e non frequentemente correlati al grado di implementazione dei programmi di PBM.