REPORT EUROPEO SULL’EMOVIGILANZA: Italia promossa
Parlare in termini positivi di errori o reazioni avverse sembrerebbe un ossimoro, eppure è proprio lo studio di questi eventi che costituisce la base per migliorare la pratica, anche in un campo delicato e vitale come quello sanitario.
Il cittadino è abituato a leggere dietro alla notizia di un errore trasfusionale, spesso accompagnato dalla morte del paziente, una ennesima prova di “malasanità” e, anche grazie ad una certa stampa dedita alla ricerca del colpevole o al compiacimento del fattore emotivo (non trascurabile, ma certo non esauribile attraverso stereotipi di commozione o caccia alle streghe), più che alla narrazione del fatto, spariscono i dati che invece descrivono un Sistema a bassa soglia di rischio, con margini di miglioramento resi evidenti anche attraverso la condivisione dei dati di emovigilanza.
“L’Italia-ci spiega Giuseppina Facco che rappresenta il nostro Paese nel gruppo di lavoro europeo di emovigilanza finalizzato a migliorare la segnalazione dei Seriuos Adverse Reaction and Events (SARE)- rientra fra gli Stati membri (solo 17 dei 28 componenti UE inviano dati completi) che forniscono dati di tracciabilità che includono l’intera filiera del processo, dalla donazione alla trasfusione e questo contribuisce ad offrire una valutazione più ampia della sicurezza della procedura, includendo anche il passaggio dell’unità “dalla vena del donatore alla vena del paziente”, cosa che, ad esempio, non viene fatta da Gran Bretagna e Germania che sono molto all’avanguardia nel campo della gestione di sangue ed emoderivati”.
“Infatti l’Italia- prosegue Facco- è fra i pochi stati membri che sorvegliano anche la fase di donazione, segnalando le reazioni indesiderate durante il prelievo: nel 2012 ne abbiamo individuate 1/3000, di cui 1/582 più severe (reazioni vaso-vagali e reazioni da citrato). Questo monitoraggio ci fornisce anche una mappatura dei soggetti che risultano più inclini a subire tali reazioni, ovvero 5/1000 sono nuovi donatori, di cui la maggior parte donne di età compresa fra i 18 -25 anni, mentre fra i donatori abituali l’indice si dimezza (2,6/1000).”
Tornando a rileggere i dati salienti del report che riguardano i pazienti, troviamo un indice di 22 eventi letali su un totale di 13 milioni di emocomponenti trasfusi, pari a 1,69x10alla -5 , che comparati alla stima di eventi rari (1/1.000.000) o alle 3.000 persone che muoiono mediamente ogni anno nel mondo a causa di complicazioni mediche e chirurgiche, evidenziano quanto il sistema trasfusionale possa essere definito complessivamente a basso rischio, dunque intrinsecamente sicuro, in particolare per ciò che concerne gli emocomponenti, ampiamente testati sia in fase di prelievo, sia di lavorazione, fermo restando quel minimo margine dovuto alla componente biologica del donatore che può provocare, ad esempio reazioni allergiche nel ricevente.
“Per abbassare ulteriormente la soglia- spiega Facco- occorre investire ancora in formazione, ma soprattutto sulla mappatura non colpevolizzante del “punto di origine” che ha causato l’evento avverso, spersonalizzandone la visione in termini di colpa e valutando la procedura analiticamente, fase per fase. Nell’area del rischio clinico, il Sistema Trasfusionale costituisce senza dubbio un ottimo standard di procedure perché la filiera è plasmata sul modello seguito dal Risk Management per migliorare gli asset di qualità e sicurezza di qualunque processo. Anche l’evento che attribuiamo all’errore umano (caso classico è lo scambio di sacche e la trasfusione di gruppo sanguigno diverso) può essere in qualche modo previsto e gestito attraverso una procedura controllata”.